Il successo di Modi che Occidente e opposizione (ancora) non capiscono

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(Adnkronos) – “Queste elezioni sono una pietra miliare nell’evoluzione politica del Paese. L’India ha impiegato 75 anni per superare il suo principale dominatore coloniale, il Regno Unito, come quinta economia mondiale. Questa è la prima elezione nazionale che si tiene in India da quando è diventata la nazione più popolosa del mondo e arriva in un momento in cui l’India ha appena iniziato a prendere il suo posto come potenza globale, una distinzione che aveva perso prima della colonizzazione dilagante iniziata nel 1700”, è il commento all’Adnkronos di Vas Shenoy, Rappresentante in Italia della Camera di Commercio indiana. 

Cosa avviene se gli exit poll, che parlano di un successo del primo ministro Modi, saranno confermati dallo spoglio dei voti? L’opposizione, tra tutti il partito del Congresso, lo accusano di aver sacrificato la laicità dell’India e la sua “tradizionale protezione” delle minoranze. E avvertono che una clamorosa vittoria di Modi porterà a un cambiamento della Costituzione, all’erosione della democrazia indiana e a una “Rashtra indù”, in cui i musulmani non avranno pari diritti. “Forse l’opposizione e l’Occidente stanno guardando questo quadro in modo sbagliato”, spiega Shenoy. “Non è l’India di Modi. È il Modi dell’India. Il Primo Ministro, al suo terzo mandato, sarà l’espressione di una nazione giovane e unita che sta appena prendendo confidenza con la propria unità, identità, storia e religione. Non è perfetta, è in costante evoluzione. Dando la colpa a Modi dell’evoluzione dell’identità indù dell’India, l’opposizione, gli studiosi occidentali e i media tolgono ancora una volta la dignità a ogni cittadino indiano. L’elettore indiano indù è dipinto come stupido, credulone, influenzabile, cedevole, e infine, se non bastasse, può essere facilmente ingannato da macchine elettorali difettose. Ha bisogno di essere protetto dai governanti più saggi. Questa era sostanzialmente la prospettiva degli inglesi quando governavano l’India, e questo è ciò che il Congresso vuole farci continuare a credere. Ma l’elettore indiano oggi è completamente diverso”. 

Com’è cambiata la politica indiana in questi anni? “Ho vissuto in questi anni all’estero, ma sono nato nel 1980 nella periferia di Bombay, pochi giorni dopo la clamorosa vittoria della nonna di Rahul Gandhi, Indira. Sono cresciuto in una colonia a maggioranza sikh quando ella fu uccisa nel 1984. Ricordo ancora lo sconforto per la sua morte e il caos che ne seguì, gli scontri e la distruzione della comunità sikh in occasione del suo assassinio. Ricordo il famoso discorso di suo padre Jawaharlal Nehru, in cui disse: “Quando un grande albero cade, la terra trema”, giustificando il massacro. Ho vissuto ogni passo del Congresso che cercava di attuare il suo programma “divide et impera”, l’impronta imperiale lasciata dagli inglesi, mentre gli indù cercavano di fare i conti con la propria identità e il loro ruolo nel Paese e nella democrazia, in cui erano la maggioranza. Ho visto Bombay diventare Mumbai, Balasaheb Thackeray e la sua ascesa, e la lenta evoluzione di un popolo da un’Unione di Stati a un paese, una nazione e un’identità”. 

L’India non è più “Un’Unione di Stati”? “Il Congresso e Rahul Gandhi definiscono così il Paese e hanno parzialmente ragione. Al momento dell’indipendenza, l’India aveva oltre 600 regni e presidenze che dovevano essere uniti. Fu Indira Gandhi ad abolire la borsa privata e a sbarazzarsi dei monarchi. Fu Indira Gandhi a portare Harivansh Rai Bachchan a promuovere l’hindi come Rashtra Bhasha (lingua nazionale), quando c’erano molte altre lingue più antiche che avrebbero potuto prendere quel posto. Tutto questo ha avuto l’effetto desiderato. L’India è ora una nazione. Il popolo ha un’identità nazionale di cui va fiero. Ha anche un’identità religiosa e culturale che ha iniziato ad accettare. Ci sono voluti 75 anni dall’indipendenza, dopo due secoli di umiliazioni, perché Bharat (il nome dell’India in sanscrito) costruisse il suo primo tempio importante. Ci è voluto lo stesso tempo per inaugurare il primo tempio nel Golfo Persico dall’avvento dell’Islam. Il rispetto di sé che il Paese ha raggiunto si riflette nel rispetto che gli altri governanti e Paesi gli attribuiscono. L’Hindutva, il movimento nazionalista hindu, si è evoluto in Sanatana Dharma, una evoluzione “equilibrata” che ha portato il Primo Ministro Modi al potere”. 

Perché secondo lei il Congresso non riesce più a convincere gli elettori? “Il Congresso moderno utilizza come simbolo l’Abhaya hasta (la mano bendicente) che è il simbolo della mancanza di paura, in cui la divinità (in questo caso il Congresso) protegge il devoto (il cittadino). Non avrebbe potuto adottare un simbolo più indù. Le nostre divinità ci proteggono costantemente e la mano è la mano della benevolenza, della benedizione e della protezione. Le ripetute sconfitte del Congresso non significano solo che non è in grado di essere benevolo e protettivo nei confronti degli elettori. L’elettore indiano ha raggiunto una maturità tale da non credere che i suoi governanti siano su un piedistallo o siano divini. Il Congresso non è riuscito a fare pace con questa evoluzione dell’India, in cui lo Stato nazionale ha una sola identità, quella di essere indiano. Non mette più i suoi governanti su un piedistallo ed è orgoglioso della sua identità come nazione. Gli indù, dopo 75 anni, sono a proprio agio con la loro identità e sono fiduciosi che, nonostante il governo che eleggeranno, esso proteggerà ogni cittadino indiano a prescindere dalla sua religione, casta, sesso o orientamento politico. L’abhaya hasta è ora nelle mani di ogni cittadino indiano, non del partito del Congresso”, conclude Shenoy.