A un anno dal massacro del 7 ottobre il libro di Sharon Nizza, la cronaca tra choc e sottovalutazioni

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(Adnkronos) – ”Conserva la memoria di un giorno buio”, un racconto ”da mattina a sera” del 7 ottobre del 2023, del terribile massacro compiuto da Hamas ”perché nessuno un giorno possa dire che non è stato”. Così l’editorialista di Repubblica Maurizio Molinari ha sintetizzato il libro di Sharon Nizza, ‘7 Ottobre 2023. Israele, il giorno più lungo’, presentato presso lo Spazio Mastai al palazzo dell’Informazione dell’Adnkronos. ”Una cronaca puntuale di una atroce battaglia, nel rispetto dei minuti, dei secondi. Non c’è una parola che non è vera. Senza aggettivi”, come ha tenuto a precisare la scrittrice Cinzia Leone, che ha letto alcuni brani del libro. La cui copertina è dedicata al Nova Festival ”organizzato solo 24 ore prima nel deserto del Negev di cui Hamas non era a conoscenza” e che ”ha in qualche modo ‘salvato’ le comunità del nord che dovevano essere attaccate, secondo i piani” dei terroristi, come ha spiegato il vicedirettore dell’Adnkronos Giorgio Rutelli che ha moderato l’incontro. 

Un racconto del massacro minuto per minuto, quello di Sharon Nizza, ascoltato con interesse dal pubblico presente nella sala gremita di piazza Mastai. Tra i tanti, il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, l’attuale presidente della Comunità ebraica romana Victor Fadlun e l’ex Riccardo Pacifici, l’assessore capitolino Tobia Zevi, l’ex Iena Antonino Monteleone. La cronaca puntuale di Nizza, le migliaia di testimonianze raccolte e la descrizione minuziosa si scontra in parte con la decisione di Israele di non diffondere i video dell’orrore di quel massacro. ”Per rispetto della privacy – spiega Nizza – ma anche perché Israele non vuole diffondere di sé un’immagine di debolezza. Se diffondi l’immagine di un soldato con la testa decapitata, e c’è un video che dura un minuto e mezzo su questo, mandi un certo tipo di messaggio. Ma gli alleati vogliono essere amici di Israele perché è forte, non perché è debole”. 

Dalla storia dell’arabo-israeliana uccisa a quella del medico che salvo la vita al leader di Hamas Yahya Sinwar, Yuval Bitton, presente in sala, Cinzia Leone è riuscita a trasmettere l’emozione oltre la cronaca. ”Ti devo la vita”, inizia il capitolo dedicato a Bitton, che il 7 ottobre ha perso il nipote Tamir Adar e che fino a due anni fa era direttore dell’intelligence penitenziaria di Israele. A essergli debitore era Sinwar, a cui lui salvò la vita nel 2004 mentre era detenuto nel carcere di Nafha e che conosceva dal 1996. Da allora e fino al 2011, quando venne scarcerato nell’ambito di uno scambio con il caporale Gilad Shalit, Sinwar e Bitton trascorsero ore e ore parlare. ”Mi aveva detto che in quel momento noi eravamo forti, ma tra dieci o vent’anni sarete deboli e attaccheremo”, ha spiegato Bitton, che nel 2011 si era opposto alla sua scarcerazione.  

Proprio per la conoscenza di Sinwar, l’ex capo dell’intelligence carceraria ha capito da subito ”senza alcun dubbio” che la mattina del 7 ottobre ”eravamo in guerra”. Quel giorno ”è stato un incubo, ci ha ricordato l’Olocausto”, ma ora ”l’eliminazione di Sinwar significa l’eliminazione di Hamas, è l’obiettivo più importante raggiunto in questa guerra”. Perché ”lui era l’unico che prendeva decisioni” e ora ”abbiamo una grande opportunità di liberare gli ostaggi, cambiare il controllo di Gaza e mettere fine alla guerra”. 

Su quello che comporterà l’eliminazione di Sinwar per la Striscia di Gaza, Molinari fa un paragone con la Germania nazista, che ”governava con la maggioranza del popolo tedesco”, ma dopo la caduta di Hitler ” i tedeschi sono stati in grado di un’operazione che ci ha portato oggi a una delle democrazie più forti”. L’interrogativo che Molinari si pone è ”cosa succederà adesso a Gaza? Non c’è dubbio che molti palestinesi vivevano con sofferenza Hamas”. Per cui, si chiede: ”Verrà fuori oggi a Gaza l’identità palestinese negata da Hamas?”. 

Bitton sottolinea, a questo proposito, che oltre l’80 per cento dei palestinesi di Gaza è contrario a Hamas. Ma parlando di numeri, Nizza ha sottolineato che sono stati oltre seimila a entrare nel sud di Israele il 7 ottobre. Di cui 3800 membri di Hamas e delle altre fazioni palestinesi, mentre gli altri civili armati di ”ascia o coltelli”, come erano stati invitati a fare, che ”hanno preso ostaggi per rivenderli poi a caro prezzo”. 

Sul perché questo sia potuto succedere, in una realtà come quella israeliana, Nizza parla di ”mala interpretazione delle intenzioni del nemico, in base alla propria interpretazione di quale potrebbe essere il suo interesse”. Ovvero, Israele ha pensato che ”Hamas non avesse interesse ad attaccare perché c’erano accordi sottobanco, perché c’erano i soldi che arrivavano dal Qatar, perché consideravano prioritario il benessere della popolazione”. Così, quel 7 ottobre, a causa di una ”sottovalutazione della forza di Hamas” e della ”mancanza di un’ipotesi di una invasione via terra”, le Idf si sono trovate con ”carri armati che erano mal funzionanti”, spiega Nizza. 

Da capo dell’intelligence carceraria, Bitton ha confermato che ”l’esercito israeliano e il governo stesso abbiano pensato che Hamas non avesse avuto alcuna intenzione di attaccare Israele”. Inoltre, aggiunge, ”Israele si basa molto sulla tecnologia e sull’intelligence e meno su quello che chiamiamo ‘l’intelligence umana’, ma solo l’intelligenza umana può capire realmente quali sono le intenzioni di Hamas verso Israele”, ammette. 

Su quello che accadrà domani, c’è da sottolineare che ”gli Accordi di Abramo stanno reggendo” perché più che la guerra di Israele a Gaza ”quello che unisce è la paura verso l’Iran”. L’incognita, ha sottolineato Molinari, è: ”l’Iran continuerà a sostenere due organizzazioni terroristiche che hanno perso i loro leader Sinwar e Nasrallah?”. Quello che ”è certo è che se l’Iran sceglie di continuare il sostegno avremo una nuova fase della guerra in cui regista e mandante vanno a perdere”.